Intervista con Sheikha Mai la ministra della cultura del Bahrein

La titolare del dicastero per la cultura del Bahrein ci spiega perché la vita delle donne arabe non è uguale in tutti i paesi

di Debora Attanasio — marieclaire.it, 15 Dicembre 2015.

 

Per molti di noi il Bahrein è solo un posto pieno di petrolio e con un bel Gran Premio di Formula Uno. Per le donne arabe, invece, è un’oasi sociale in cui il diritto al voto è arrivato senza bisogno delle suffragette, e dove le opportunità di carriera femminile sono molte. Ora che anche nella vicina Arabia Saudita, con le prime elezioni comunali aperte anche alle donne (un evento annunciato persino nei titoli di coda del film Suffragette, in arrivo a febbraio) e si percepiscono piccoli segnali di cambiamento che stridono con l’anacronismo dell’Isis, un personaggio di spicco del mondo culturale del Bahrein, Sheikha Mai bint Mohammed Al Khalifa, ci spiega quanto può fare la differenza, per una donna del mondo arabo, nascere pochi chilometri più in là.

Sheikha Mai è Presidente dell’Autorità del Bahrain per la cultura e le Antichità (Baca) con prerogative di ministro. Membro della famiglia reale, nipote di uno dei padri fondatori del paese, è stata scelta per questo ruolo dal re Hamad bin Īsā Āl Khalīfa in persona, e da allora si è data molto da fare per farsi notare dalla comunità internazionale. Si è subito rimboccata le maniche per colmare il vuoto delle testimonianze storiche nel suo paese e ha dedicato un museo ai Dilum, il popolo che per primo si insediò a Manama, capitale dell’isola. Ora è spesso in Italia, protagonista e mediatrice di una serie di iniziative di valore, come il simposio Investire in Cultura dedicato alla promozione del patrimonio culturale del Bahrain e alla sua esperienza unica, organizzato da Art Valley a Milano.

«Quest’anno avete avuto l’Expo in Italia, con lo slogan “Nutrire il mondo” e noi abbiamo partecipato con un progetto a cui tenevamo molto, il nostro padiglione aveva dieci giardini, ognuno con una diversa qualità di frutta», mi racconta, subito. «Il Bahrein ha una storia antica e interessante, e con l’Expo abbiamo avuto l’occasione di far conoscere anche a voi la nostra cultura e la nostra storia. L’Expo mi è piaciuto molto, l’ho visitato più volte, persino quando era solo terra battuta e poi un cantiere. E oltre alle occasioni ufficiali, ci sono venuta con la mia famiglia come semplice visitatrice. Avete fatto un ottimo lavoro».

Uno dei luoghi comuni sul mondo arabo è che le donne siano tutte sottomesse, ma lei lo smentisce col suo ruolo istituzionale. Com’è stata cresciuta per diventare quello che è?

Non sono stata cresciuta in modo diverso dalle altre donne del Bahrein, da noi le donne sono fra le più alfabetizzate del mondo arabo, hanno la possibilità di partecipare a qualsiasi evento e sono libere di fare quello che vogliono. Forse studiano addirittura più degli uomini, e sono abituate all’indipendenza. Fa parte della nostra tradizione: già in passato, quando l’uomo lasciava le donne sole per tre mesi per la pesca delle perle, le donne prendevano in mano l’economia della casa, comandavano loro e partecipavano alla vita politica della comunità. Da allora abbiamo dimostrato di essere forti, importanti e presenti. Da noi le donne votano dagli anni ’50 e vanno anche a studiare all’estero.

Perché il suo re l’ha scelta come ministra della cultura?

Ho sempre lavorato nel settore della cultura e mi sono sempre impegnata anche in privato, ho anche aperto un’agenzia per la cultura. Il re del Bahrein ha sempre cercato di dare spazio anche alle donne e collocarle nei posti adeguati alla loro capacità, senza fare distinzioni di genere.

Quando lei prende una decisione per una nuova iniziativa nel suo dicastero, ha libertà di azione, o deve rendere conto a qualcuno?

Il nostro re è un illuminato e ha deciso di dare molto spazio alla cultura. Non si devono porre limiti alla diffusione della cultura e nessuno ne sta ponendo al mio incarico. Da noi non conta chi sta agendo, uomo o donna, ma il valore del progetto e in quanti sono disponibili per portarlo avanti con le proprie qualifiche.

Lei è in carica da 8 anni: quali sono le cose di cui va più fiera?

Visto che lei è italiana, le parlerò di quello che è legato al suo paese. Posso dirle che, appena assunto l’incarico, sono venuta in Italia a partecipare a un appalto ingegneristico per le fonti energetiche, e che anche grazie a questo, il Bahrein ha vinto il Leone d’Oro a Venezia per la miglior partecipazione nazionale. Fuori dall’Italia, abbiamo partecipato a tutte le fiere e le manifestazioni più importanti del mondo. In Russia abbiamo portato dei pezzi importanti all’Hermitage, così anche la nostra storia è presente in un museo così importante. Solo in Italia non ne abbiamo ancora portati. Uno dei miei prossimi progetti è quello di organizzare una grande mostra delle nostre antichità e delle nostre perle qui da voi.

Se lei fosse il ministro della cultura in Italia, quali iniziative le piacerebbe fare?

(Sorride) C’è un proverbio arabo che, tradotto, dice più o meno: «Le cose di famiglia le conoscono meglio i membri della famiglia». E io non voglio entrare nei vostri affari di famiglia. Però conosco l’operato del vostro ministro della cultura Dario Franceschini perché è anche ministro del turismo, e credo che il vostro governo abbia fatto molto bene a unire i due ministeri perché cultura e turismo sono indivisibili. Inoltre seguo il lavoro che ha fa anche col sindaco di Venezia e mi è sembrato molto valido.

Ci sono donne da cui prende esempio?

Mi fanno spesso questa domanda, ma io non seguo necessariamente esempi di altre donne perché il progetto del mio paese è inedito e nessuna donna ha mai intrapreso qualcosa di simile. Cerco di ispirarmi a chiunque, uomo o donna, e a fare di testa mia.

Il suo paese ha la fama di essere molto accogliente con gli immigrati: che cosa succede a una donna italiana che cerca lavoro da voi?

Questo è un punto su cui dovremmo essere presi come esempio dal resto del mondo. Abbiamo accolto uomini e donne da altri paesi con generosità, li mettiamo in condizione di lavorare, il lavoro non manca. E non abbiamo nessun problema con i matrimoni fra i cittadini del Bahrein e gli stranieri. Conosco molti uomini italiani sposati con donne del Bahrein, e viceversa.

Lei è una donna importante: le capita mai che un uomo, nonostante la sua posizione, si rivolga con superiorità?

Non ho problemi a riconoscere la mia inferiorità nei confronti di un uomo, ma solo se lui è effettivamente superiore a me, così come con una donna. Altrimenti, sinceramente, da noi non si sta a guardare se uno è inferiore o superiore a secondo del suo genere. Contano le qualifiche. Credo che il contorni della questione siano sempre più netti, che il divario fra uomo e donna si stia riducendo e mi sembra che le donne occupino sempre di più posti importanti.

Hillary Clinton potrebbe quindi essere il prossimo presidente degli Stati Uniti?
Perché no? Se è meritevole, nessuno glielo impedirà.

E che ne pensa di Angela Merkel, il personaggio dell’anno secondo il Time?

È una che sa fare bene il suo lavoro. Credo che la storia si stia solo ripetendo, nel passato abbiamo avuto ovunque grandi regnanti, donne fortissime. Qualcuno può provare a creare delle barriere, ma nella realtà dei fatti le donne le abbattono.Dal vostro paese, come vedete il dramma dell’immigrazione in Europa?
Con dolore, soprattutto per i rifugiati spinti dalla minaccia del Daesh (non usa mai l’acronimo Isis, ndr). Sia per le perdite umane che per quelle culturali. Ogni volta che i militanti del Daesh abbattono un sito archeologico prezioso vorrei mettermi a piangere. Quando hanno distrutto il sito di Palmira mi trovavo proprio in Italia, in Toscana, e ho avuto un malore. Quella notte non sono riuscita a chiudere occhio dallo sdegno e la pena.

Che conseguenze porterà la distruzione di tutti questi beni?

Gravissime, per il turismo e per l’economia locale. Per questo abbiamo creato con l’Unesco un team per la tutela e la protezione dei beni storici dei paesi arabi. Non pretendiamo di fermare la distruzione, non siamo stupidi, ma almeno cerchiamo di enfatizzarne il loro valore per svegliare le coscienze e colpire maggiormente l’opinione pubblica sulla gravità di questi fatti.Lei è un personaggio gradito a diverse fazioni politiche del suo paese: come fa a mettere tutti d’accordo?
Non faccio altro che dimostrare sempre la mia dedizione e la mia passione per la cura degli interessi di tutti. Non lavoro solo per la mia etnia o la mia famiglia, quando faccio qualcosa lo faccio per un popolo intero, non per delle fazioni.

Si è appena concluso il Cop21: paesi come il suo, che producono molto petrolio, hanno progetti riguardo la sostenibilità?
Tutto il mondo si preoccupa per l’ambiente. Noi cerchiamo di dare il nostro contributo sperimentando l’agricoltura biologica e dotando di sistemi di energie alternative le nuove costruzioni.Il suo motto è “investire nella cultura”.

Nella storia c’è stato — e c’è ancora — chi pensa che non bisogna investire troppo nella cultura perché se tutti sono istruiti nessuno fa più i lavori umili. Che ne pensa?

Penso che investire nella cultura, come lo intendo io, significa costruire le strutture che mettano tutti in condizione di accedervi liberamente. Poi, decidere se fruirne o no, sta a loro. Lasciamo che siano le persone a scegliere liberamente se vogliono essere istruite, o se si sentono più adatte a fare lavori più modesti, ma non meno utili.